E dicono che gli allenatori non contano. Chelsea-Liverpool, match di andata delle semifinali di Champions League più che un derby britannico sembrava una partita di cartello del campionato italiano. O un derby Portogallo-Spagna: passaggi in orizzontale o all’indietro, difese bloccate, centrocampo intasato e appena un paio di conclusioni in porta nei primi quarantacinque minuti. Poi niente. Allenatori, giocatori e tifosi uniti nella speranza di trovare un golletto grazie a una disattenzione altrui. Come se la possibilità di premere sull’acceleratore per realizzarlo fosse impedita da chissà cosa. Così si snatura un gioco, quello degli attacchi all’arma bianca, dei leoni britannici, ma si vince: questo il credo di Mourinho, una sorta di anti-Sacchi, cui in Inghilterra si sono piegati tutti.
L’allenatore dei blues, che di pressing nella metacampo altrui non vuol nemmeno sentir parlare, in meno di un anno ha portato il Chelsea a conquistare il secondo campionato della sua storia (la matematica lo dirà a breve, il campo si è già espresso da mesi) e ha creato attorno a sé un seguito mediatico che ne ha fatto uno spice-manager da rotocalchi. Lui lo sa, ha indotto tutto questo alternando dichiarazioni provocatorie ad altre volutamente controtendenza, e ci gioca pur di alimentare il dibattito che “deve” vederlo unico protagonista: «Sono molto soddisfatto: contro il Liverpool abbiamo avuto molte più occasioni da gol di quante immaginavo prima del match». Ne hanno avuto una e mezza.
Anche così si nasconde l’insoddisfazione di aver visto il suo Chelsea-undici-stelle bloccato in casa dal Liverpool più working class che la storia ricordi. Ma la verità è che Mourinho, ancora favorito per la vittoria finale, ha perso il primo round. Lo ha vinto l’altro mago della difesa Rafa Benitez, che dall’inizio dell’anno prova a far le nozze coi fichi secchi (ma tosti) a disposizione. Aver portato il Liverpool in semifinale e non vincere la coppa non sarebbe un risultato degno del Liverpool anni ’70-’80.
«E’ una buona situazione. Abbiamo una grande tifoseria, sarano con noi ad Anfield e abbiamo bisogno di vincere». Ma se si guarda a chi indossa quella casacca oggi, c’è da gridare al miracolo. O più modestamente “gracias Rafa”. LECHAMPIONS EUROPA
L’allenatore dei blues, che di pressing nella metacampo altrui non vuol nemmeno sentir parlare, in meno di un anno ha portato il Chelsea a conquistare il secondo campionato della sua storia (la matematica lo dirà a breve, il campo si è già espresso da mesi) e ha creato attorno a sé un seguito mediatico che ne ha fatto uno spice-manager da rotocalchi. Lui lo sa, ha indotto tutto questo alternando dichiarazioni provocatorie ad altre volutamente controtendenza, e ci gioca pur di alimentare il dibattito che “deve” vederlo unico protagonista: «Sono molto soddisfatto: contro il Liverpool abbiamo avuto molte più occasioni da gol di quante immaginavo prima del match». Ne hanno avuto una e mezza.
Anche così si nasconde l’insoddisfazione di aver visto il suo Chelsea-undici-stelle bloccato in casa dal Liverpool più working class che la storia ricordi. Ma la verità è che Mourinho, ancora favorito per la vittoria finale, ha perso il primo round. Lo ha vinto l’altro mago della difesa Rafa Benitez, che dall’inizio dell’anno prova a far le nozze coi fichi secchi (ma tosti) a disposizione. Aver portato il Liverpool in semifinale e non vincere la coppa non sarebbe un risultato degno del Liverpool anni ’70-’80.
«E’ una buona situazione. Abbiamo una grande tifoseria, sarano con noi ad Anfield e abbiamo bisogno di vincere». Ma se si guarda a chi indossa quella casacca oggi, c’è da gridare al miracolo. O più modestamente “gracias Rafa”. LECHAMPIONS EUROPA
©LECHAMPIONS.it/CHAMPS.ws. Tutti i diritti riservati/All rights reserved